
Elena di Baviera, prima del matrimonio. In una mano ha una bottiglia di liquore (sembra visciolata), nell’altra il bicchierino adeguato. Si lascia cadere su una poltrona e si versa (da sola!) il liquore nel bicchiere. Subito dopo, butta giù il contenuto d’un fiato, gettando la testa all’indietro (quasi a rompersela), proprio come è consuetudine nel mondo delle duchesse. Una grazia del genere probabilmente si è vista solo con Ozzy Osbourne quando staccò con i denti la testa di un povero pipistrello. E pensare che Elena, che aveva un servitore per versarle l’alcool, un altro per farla accomodare in poltrona, un altro per aiutarla a buttar giù il bicchierino e uno per eventuali eruttazioni, era così progressista da fare tutto da sola. La scena, se dovessimo attenerci all’etichetta rigida imposta all’aristocrazia ai tempi di Francesco Giuseppe, non è mai avvenuta. Tuttavia, può essere ammirata nella serie Sisi, che ormai non sorprende più nessuno per le sue grossolane inesattezze storiche, accettate in nome di una storia che deve essere romanzata fino a raggiungere vette di sexiness da Instagram del XXI secolo. Ho visto pochi minuti di questa serie, saltando qua e là, ma sembra che abbia visto quelli decisivi. Probabilmente, qualsiasi altro minuto avessi guardato mi sarebbe sembrato altrettanto decisivo, perché ogni serie segue la stessa logica delle "svolte appassionate".
Lo spettatore di oggi entrerebbe in coma se dovesse guardare anche solo 10 minuti della reale noia burocratico-rituale che si celava dietro le mura dell’Hofburg. Leggendo il libro di Martina Winkelhofer, La vita quotidiana dell'imperatore Francesco Giuseppe e della corte imperiale, si arriva alla conclusione che la vita dell’imperatore scorreva in giorni più uguali di quelli di qualsiasi “burocrate patologico”, e i suoi “team building” (in particolare i due balli annuali) erano rigorosamente coordinati in ogni dettaglio, risultando probabilmente più faticosi del resto delle sue giornate. Ha trascorso la maggior parte della sua vita alla scrivania, leggendo documenti inviati dai ministeri, nonché numerosi rapporti sulla vita delle 1500-2000 persone che lavoravano per il buon funzionamento della corte. Il resto del tempo era dedicato alle udienze, a una breve passeggiata pomeridiana e a cene estenuanti che concludevano la giornata (verso le 21:00, dato che l’imperatore veniva svegliato ogni mattina alle 3:30).
Francesco Giuseppe si occupava di dettagli di cui nemmeno un moderno CEO si preoccuperebbe. Anzi, nemmeno un team manager! Ecco alcuni esempi: L'approvazione dei menù giornalieri (doveva firmare i menù dei pasti serviti a corte, inclusi i banchetti ufficiali e le cene più piccole. Anche la scelta dei vini poteva richiedere la sua approvazione. Persino gli abiti da ballo, estremamente costosi, finirono sotto la sua supervisione: "un completo da sera costava tra i 300 e i 500 fiorini, mentre lo stipendio annuo di un domestico di corte era di 300 fiorini". Poiché, durante i balli, questi abiti venivano rovinati dal lucido degli stivali dei cavalieri, Francesco Giuseppe "approvò l'inclusione di stivali di vernice nella divisa ufficiale degli ufficiali"). L'autorizzazione ai viaggi (qualsiasi spostamento dei membri della famiglia imperiale, degli alti funzionari o persino delle truppe all'interno dell'Impero doveva spesso essere approvato formalmente da lui). La revisione delle uniformi e delle decorazioni (doveva valutare e approvare anche piccole modifiche nel design delle uniformi militari e degli ordini imperiali, come il cambiamento di un bottone o di un nastro). La supervisione del programma giornaliero dell’esercito. Il controllo delle liste degli invitati agli eventi di corte (chi partecipava ai balli, chi era seduto dove a tavola, chi poteva stare vicino alla famiglia imperiale: tutti dettagli che, almeno in alcuni casi, necessitavano della sua approvazione). L’esame dei rapporti sulla fauna di caccia. Si potrebbe dire che l’imperatore fosse il suo stesso staff di assistenti personali.
E proprio questo Francesco Giuseppe lo vediamo nella suddetta serie, a torso nudo, mentre salva Sisi sciolta di capelli (e con il corsetto misteriosamente scomposto in modo empowering) da alcuni presunti briganti in una foresta. Non mancano i sospiri passionali femminili a cui le serie in costume ci hanno abituato. Quello che segue non ha bisogno di immaginazione. Rimasto nella memoria collettiva come un monarca rigidamente legato alle vecchie strutture di potere e ai rituali aristocratici, severo con chiunque nella sua famiglia o nel suo entourage non li rispettasse, un burocrate che vedeva il suo ruolo come il mantenimento della macchina imperiale e non certo il suo cambiamento, difficilmente possiamo immaginare che avesse il tempo per innumerevoli schermaglie romantiche. Per non parlare del fatto che nemmeno Sisi, per quanto insofferente alle costrizioni della corte (e spesso in viaggio), avrebbe avuto tempo: per quanto il suo "spirito libero" fosse forte, non avrebbe potuto sfuggire alle 3 ore quotidiane dedicate all’acconciatura, ai trattamenti per il viso con carne cruda, alle ore di esercizio fisico (per mantenere il peso di 50 kg) e, ovviamente, alla sua ossessione per l’equitazione, che a volte le portava via 6-8 ore al giorno. Nulla di Netflixabile qui.
Fastidiosa, oltre alle flagranti inesattezze storiche (Sisi non ha mai rapito suo figlio per ricattare Francesco Giuseppe), è la totale mancanza di portamento dei personaggi. Non basta riprodurre uniformi e abiti che sembrano rispettare solo il peso (un abito di Sisi poteva pesare tra i 12 e i 20 kg) senza rispettare l’etichetta dell’epoca (non esistevano abiti senza maniche e le scollature erano permesse solo ai balli) per ricreare l’atmosfera del tempo.
Probabilmente, noi spettatori non dovremmo più chiederci quale sia il senso di questi melodrammi da quattro soldi venduti come storia. Le "mitologizzazioni" in stile Barthes si possono identificare con successo anche nella serie Sisi, ma gli attori sono cambiati: al posto della borghesia che impone modelli dall’alto verso il basso, ora c’è l’algoritmo che trova la strada più breve per il successo di un prodotto commerciale.
I personaggi sembrano soffrire le pene di un adolescente che cerca la propria anima gemella per il ballo di fine anno, e non certo il peso della “grandezza” e della “distinzione” che una mitologizzazione tradizionale cercherebbe di naturalizzare. Assistiamo a una mitologizzazione dal presente verso il passato, dal basso verso l’alto: Sisi non era altro che una "ribelle", una "donna forte", la corte ovviamente un nido di passioni, ma almeno formalmente si distingueva da una soap opera qualsiasi (un Emily in Vienna con conti ungheresi), con personaggi che sembrano cresciuti tutti nel ranch di JR in Dallas (dove ha visto Freud tanto disagio nella civiltà?). Non solo possono versarsi l’alcol da soli, ma Sisi è così autentica, così naturale che, a un certo punto, la vediamo addirittura mangiare con le mani (!) dal piatto (Sue Ellen non l’avrebbe mai fatto). Tutti erano come noi e noi come loro. Dei content creator. Delle Meghan Markle in divenire.
Testo: Oana Pughineanu
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