duminică, 7 decembrie 2025

Contractio animi



Il tempo è diventato uno scaffale di ipermercato. Dicembre è magia e scintillio. Febbraio, amore, ecc. Il tempo libero, un tempo Ikea riempito di felicità prefabbricate: “Italia”, la spiaggia, la foto con gli angeli luminosi di Natale. Nulla di nuovo. La macchina che ci ha inghiottiti non mostra segni di stanchezza e la sensazione di gabbia disturba alcuni, ma non abbastanza, né con sufficiente intensità. Perché la macchina produce, attraverso la propria ripetizione, simultaneamente, devitalizzazione e nostalgia. La tensione del nostro tempo è, al massimo, quella della nostalgia, e il tempo della festa può essere descritto molto bene con le stesse parole con cui Baudrillard descriveva il tempo libero: “il tempo libero della vacanza resta proprietà privata del turista, un oggetto, un bene conquistato col sudore della fronte lungo un intero anno, posseduto da lui, di cui gode come di qualsiasi altro oggetto – e di cui non potrebbe privarsi per donarlo, per sacrificarlo (come accade con un oggetto-regalo), per destinarlo a una disponibilità assoluta, all’assenza di tempo che significherebbe la vera libertà. Il turista è legato al suo tempo come Prometeo alla roccia, è legato al mito prometeo del tempo come forza produttiva”.

Quando passeggi in un mercatino di Natale (uno qualunque, sia a Craiova che a Vienna), diventi piuttosto un Sisifo che sopporta il ritorno dello stesso identico a-tensionale e di simboli divenuti oggetti, non il contrario. Guardi la Sacra Famiglia, i tre Re Magi, e la cosa più sconvolgente non è più nemmeno il fatto che stiano accanto a cubi luminosi che pubblicizzano una banca, o che frontalmente potrebbero essere inquadrati da un fotografo abile insieme all’insegna rossa di Home Garden, ma resti sgomento dal loro aspetto di scenografia di un luna park da tempo scomparso. I loro volti di gesso (presumo) sono scheggiati, e l’unico a scampare a questa corrosione è il santo bambino di plastica (una bambola qualunque) che durerà a lungo in virtù dell’“indistruttibilità” del materiale di cui è fatto.

Quest’anno ho deciso di fare un esperimento mentale. Ho provato a immaginare che cosa direbbe del mercatino di Natale un personaggio che non ha ancora vissuto nei tempi del tempo-oggetto, tempo-astratto, alle cui livellazioni soltanto la malattia e la morte riescono a malapena a sfuggire. Così ho invitato nella mia mente a fare una passeggiata Sant’Agostino, perché resta uno dei pensatori più sensibili riguardo al tempo e alla sua finalità, spezzando il tempo ciclico dell’antichità e facendone una qualità dell’anima che si tende, attraverso la memoria, dal passato al futuro (distensio animi), pur anelando all’eternità come assenza del tempo. Direbbe di noi che siamo amministratori di un tempo privo di ogni attesa (ma pieno di aspettative), che il nostro tempo è disintegrato nel festivismo e non porta più con sé alcuna promessa, né tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere, né, certamente, alcuna promessa di salvezza. In fondo, perché mai delle successioni meccaniche dovrebbero aver bisogno di salvezza?

Questa mancanza di senso/attesa/tensione si tradurrebbe per Sant’Agostino (soprattutto alla vista dei Babbi Natale incastonati in sfere di vetro con neve di plastica e delle palle tricolori) nella distruzione di ciò che egli chiamava l’uomo ordinato, in cui gli amori sono “disposti correttamente” (ordo amoris), una caduta totale nella cupiditas attraverso l’inversione di una gerarchia che disperde il nostro affetto: l’amore per il mondo (per le cose), poi per il corpo mai abbastanza curato, per l’anima che non trova mai il metodo definitivo di self-help e, forse, alla fine, per Dio, divenuto un fascio di esercizi spirituali così eterogenei che nemmeno un computer quantistico ne ritroverebbe più l’origine.

Questa dispersione di sé produrrebbe solo ansia e le gioie effimere della degustazione di false novità. “Dovete immaginarvi felici”, probabilmente mi direbbe mentre gli mostrerei le nuove decorazioni e lo farei assaggiare dell’inedito kürtőskalács salato, conducendolo attraverso tutti e cinque i mercatini nei quali riversiamo ogni residuo di tempo interiore. Perché tutto è già montato e splende.

Forse mi ricorderebbe le sue splendide parole: “inquietum est cor nostrum donec requiescat in te / il nostro cuore resta inquieto finché non riposa in Te”. Capirebbe che il nostro riposo è questa stanchezza colorata, che per noi è vitale essere sempre occupati, ma mai desti, che qualunque cosa intendiamo oggi per vita spirituale non lascia più spazio a quell’inquietudine abissale nella quale sarebbe possibile scomparire del tutto. La nostra coscienza diventa (con l’aiuto di molti specialisti), in realtà, legata all’abitudine. La coscienza non si estrania più dal mondo e, se lo fa, ci porta nel deserto o, peggio, nelle nuove tendenze di “manifestazione a livello quantico”, senza le quali oggi non possono più vivere né i “psicoterapeuti”, né le fashioniste.

Perderebbe la speranza vedendoci? Credo di no. Nell’universo descritto da Agostino c’è posto anche per la stasi mentale. “Anche le cose particolari sono buone, poiché l’ammirabile bellezza dell’universo è composta da tutte quante. In questo universo persino ciò che è chiamato male è ben ordinato e posto al suo posto e così raccomanda con maggiore forza le cose buone, perché esse ci piacciano di più e siano ancor più degne di lode quando vengono paragonate alle cose cattive. Dio ha creato tutte le nature, non solo quelle che hanno perseverato nella virtù e nella giustizia, ma anche quelle che avrebbero peccato; e queste ultime le ha create non affinché peccassero, ma perché ornassero l’universo, indipendentemente dal fatto che volessero peccare oppure no”.

Probabilmente ci saluteremmo allegramente. Lui tornerebbe nel tempo divenuto “come il fantasma di un caro amico morto” (“like a ghost of a dear friend dead”)… e io resterei a ornare.

Foto e testo: Oana Pughineanu 

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